Intervistiamo il titolare del ristorante “Quattro stagioni” di Saluzzo
A Saluzzo spicca fra i ristoranti di alta qualità e dall’atmosfera suggestiva e unica: è il ristorante Quattro Stagioni, un trionfo di sapori e di profumi, un locale storico e antico reso moderno e accogliente ma con un evidente legame alla tradizione. Tutto questo e altro ci viene raccontato dalla voce di chi lo ha ideato, lo ha visto nascere e crescere in tutto il suo splendore: Piero Sassone.
Da quanto tempo lavora nel mondo dell’ospitalità?
Potrei dire da sempre. Sono nato a Viggianello, in provincia di Potenza, nel 1967 e ho frequentato l’Istituto Alberghiero di Castrovillari, il più antico della Calabria. Là ho imparato il mestiere, ho capito le potenzialità della cucina mediterranea e, grazie alle conoscenze apprese, mi sono avviato alla professione. Prima ho lavorato in grandi alberghi all’estero fra Germania, Svizzera e Francia. Tornato in Italia per il militare, ad Asti, ho trovato un caro amico chef che mi ha spinto a tentare il grande passo. Ho aperto in società un ristorante-pizzeria a Revello, che mi fa ancora piacere ricordare: la Cambusa. Poi, erano gli anni Novanta, ho deciso di creare una serie di locali di tendenza – caffetterie, bar-pasticceria, piccoli bistrot – sulla piazza di Saluzzo. Per gestire il tutto ho creato la “Compagnia Mediterraneo”, crescendo personale di fiducia e sviluppando nuove attività. Fra queste, mi preme sottolineare la nascita delle “Quattro stagioni”, che ha rappresentato un nuovo modello di ristorazione quale non si era mai visto in una città come Saluzzo. Ho contributo poi a far sorgere l’Hotel Relais Poggio Radicati e in ultimo, il recente Resort San Giovanni, situato in un complesso medievale dall’abbagliante splendore.
Tornando al Quattro stagioni, ci può raccontare brevemente la storia del Suo ristorante? Quando e perché ha deciso di ristrutturarlo?
Quando ormai avevo messo radici a Saluzzo, mi sono appassionato al centro storico che risale ai tempi del Marchesato, una delle più importanti realtà geopolitiche del Quattrocento. Sotto i “porti scur”, i portici scuri e bassi che introducono alla città alta per la porta Santa Maria che si apre davanti al Duomo, c’era da rilevare un locale situato in scantinati di proprietà comunale, un tempo adibiti a magazzino. Sono stato colpito dalle volte a botte, dai mattoni a vista, da quell’aria di austera bellezza e lì è nata l’idea del Quattro Stagioni. Mi sono messo al lavoro per portare il locale a un livello di estrema eccellenza. Pizzeria sì, ma di qualità, con lista delle vivande all’altezza dei tempi e una buona carta dei vini. E naturalmente un arredamento più fresco, con tanti fiori, lampade e oggetti d’arte per dare un tocco decorativo piacevole e intrigante. Un lavoro appassionante in cui ha avuto un ruolo insostituibile ed eccezionale mia moglie Roberta.
Quali sono state le difficoltà maggiori che avete incontrato nella ristrutturazione del Quattro Stagioni?
Sicuramente le infinite complicazioni per ristrutturare il Quattro Stagioni, che volevo rispondesse a un design rispettoso della storia, ma, al tempo stesso, moderno nella realizzazione. Ho avuto la fortuna di trovare artigiani di impareggiabile talento che hanno assecondato il mio progetto. Tuttavia, far convivere in un edificio storico il vecchio e il nuovo, a cominciare dall’esigenza di avere una cucina ariosa ed efficiente, non è stato semplice. Ho dovuto impegnarmi a fondo: era una sfida e la volevo assolutamente vincere, superando ogni ostacolo.
I successi, invece, dopo la ristrutturazione del Quattro Stagioni?
La più grande soddisfazione è venuta, come sempre in questi casi, dal gradimento della clientela che in qualche modo mi aspettava al varco. “Vediamo cosa è capace di combinare Sassone in quell’antro”, dicevano in tanti, abituati a vedere premiati dal successo solo i locali nati ex novo in siti molto più accessibili, dotati di comodi parcheggi. Io ero sicuro che la qualità delle Quattro Stagioni avrebbe fatto la differenza, e infatti in poco tempo sono arrivati i risultati, addirittura superiori alle aspettative. Il locale Quattro Stagioni è diventato un punto di riferimento non solo per i saluzzesi, ma anche per i turisti e per quella grande platea di persone, giovani soprattutto, che scelgono Saluzzo per il piacere della movida notturna.
Qual è stata la filosofia che ha ispirato l’intervento nel Quattro Stagioni?
Il restyling che ha ulteriormente rinnovato l’ambiente delle Quattro Stagioni è partito da una necessità: adeguare l’arredamento alle nuove esigenze degli ospiti. Personalmente, infatti, intendo la ristorazione come intrattenimento globale, oltre alla gioia di gustare cibi e vini di eccellenza: chi si siede a tavola merita un trattamento regale, va coccolato con mille attenzioni. I dettagli sono fondamentali, a cominciare dall’ergonomia che in un ristorante solitamente molto affollato non è facile da rispettare. Devi fare in modo, insomma, che il cliente si trovi a suo perfetto agio anche in un contesto di duecento persone. L’intimità della coppia di fidanzati va garantita anche se a lato si banchetta allegramente. Sedie, tavoli, servant, mobili e arredi vanno ogni volta disposti e ordinati con cura oserei dire maniacale. In poche parole, la mia filosofia è: chi esce dalle Quattro Stagioni deve essere contento di aver centrato la scelta migliore e, ovviamente, aver voglia di ritornare.
A quali tipologie di clientela Vi rivolgete?
Posso fare una battuta? Io quando penso alla mia clientela vedo l’elenco telefonico in ordine alfabetico. Le Quattro Stagioni rappresentano un approdo per tutti, giovani, coppie, allegre comitive, manager in colazioni d’affari, tavolate del dopo cinema. Per la mia estrazione sono profondamente democratico e ritengo che chiunque abbia diritto a trascorrere qualche ora serena in un ristorante di qualità e al giusto prezzo.
Quale esperienza offrite ai Vostri ospiti? Quale tipo di cucina proponete?
L’esperienza è quella di un ristoratore che ha vissuto un pò tutti gli ambienti e ha scelto di puntare la sua attività su una città storica che richiede un bon ton particolare. Chiaro che in questo contesto la specializzazione della cucina riveste un ruolo prioritario. Noi offriamo tutte le suggestioni del mondo pizza, partendo dalla classica e intramontabile Margherita alle burrate e mozzarella e pomodoro. Un elemento decisivo è la scelta dei prodotti: credo nella filosofia del chilometro zero. Un semplice tagliere di salumi o una ruota di formaggi non può essere banale, deve esaltare le produzioni locali, le chicche che gli artigiani sanno creare. Ma ugualmente, pur non essendo al mare, non possiamo dimenticare le specialità di pesce che grazie a fornitori qualificati possiamo esibire sulla mensa ogni giorno. In sostanza, ritengo che l’offerta della cucina mediterranea rappresenti per noi l’alfa e l’omega: sapori e saperi di uno stile che si integra magnificamente con le meraviglie della tradizione piemontese, quest’ultima rappresentata da carni eccezionali, paste sublimi, un trionfo di dessert degni dei Savoia.
Quali sono le più grandi soddisfazioni nel Suo lavoro?
Potrei elencarne cento, ne richiamo un paio che costituiscono i cardini della mia esperienza di ristoratore e albergatore. Il primo è sicuramente l’attenzione al cliente, che io ritengo sia un amico, perché viene a trovarmi in casa mia e quindi ha piacere di stare con me. Tra un piatto e un bicchiere di vino l’amicizia si corrobora, dopo un po’ si scambiano le confidenze, diventa normale raccontarsi le proprie storie. Il secondo e fondamentale elemento di soddisfazione è poter contare su personale fidato, che è cresciuto con te, ha respirato la stessa atmosfera, vuole migliorare e partecipare. Così si costruisce la squadra che ogni giorno sa scendere in campo per vincere.
Che consiglio vuole dare ai giovani che desiderano operare nel settore?
Prima studiare, non importa il corso di studi, perché fondamentale è avere una cultura di base, la conoscenza del mondo e delle lingue. Il nostro oggi è un villaggio globale: si può essere a Saluzzo o in Germania, a Milano o a Singapore, bisogna sapersi muovere e rapportarsi con gli altri. Il secondo step è fare esperienza, non avere timore nel cimentarsi in lavori inizialmente umili. Io prima dei vent’anni ho fatto di tutto, ogni lavoro era uno scalino che mi faceva salire. Una volta che si sono raggiunte formazione e capacità, solo a questo punto, ci si mette in gioco. Il consiglio che mi sento di dare è di non illudersi che questo sia un mestiere facile. Anche un piccolo bar è un’impresa difficile da gestire. Per questo sostengo la necessità di dotarsi di un buon curriculum e soltanto dopo scegliere la via migliore. Insomma, non bisogna aver paura di tentare l’avventura, ma con i piedi saldamente piantati per terra.