Social Network: distrazione o risorsa?
L’utilizzo dei social network in azienda è un argomento molto sentito e fonte di numerevoli discussioni.
Non stiamo parlando della scelta, ormai obbligatoria, di utilizzare campagne di “Social Media” per promuovere la propria azienda, ma della controversia questione di proibire o meno l’utilizzo “personale” dei social durante le ore di lavoro.
Secondo la nostra esperienza, il controllo ferreo sul lavoratore, stile “taylorismo”, non produce molti risultati e, nella maggior parte dei casi, si rivela controproducente a livello produttivo, perchè viene percepito come una mera “presa di posizione”.
Allo stesso tempo però, lasciare il libero arbitrio ai dipendenti di controllare e interagire con i propri account nei vari social network durante il lavoro, potrebbe rivelarsi fonte di distrazione e aumentare il rischio che gli impiegati pubblichino contenuti imbarazzanti anche durante il lavoro in azienda.
Quindi, quale potrebbe essere la soluzione più adeguata?
Secondo un’indagine di “Proskauer” i social network, oltre alla loro funzione base di “socializzazione” potrebbero essere sfruttati come strumenti atti a migliorare la comunicazione interna fra gli uffici o, in alcuni casi, la sorgente per raccogliere informazioni “non filtrate” su possibili candidati o sui propri dipendenti.
Infatti, a sostegno di questa tesi, già il 94% dei “recruiter” americani, prima di chiamare un candidato per un colloquio, si fa un’idea della sua personalità scovando informazioni utili alla valutazione attraverso i vari social network: Facebook, Twitter, LinkedIn e Google+.
Ma il dato maggiormente interessante, scaturito da questo report, attesta che, nel 43% dei casi, un candidato ritenuto interessante, dopo la lettura delle credenziali e del currriculum vitae, viene scartato a seguito dell’analisi sugli elementi pubblicati dallo stesso (foto inappropriate, lamentele, sfottò verso i propri superiori in azienda o colleghi di lavoro).
Non è poi cosa rara trovare dei casi di licenziamento dovuti a pubblicazioni non adeguate all’etica dell’azienda da parte di un impiegato; un caso molto famoso ha riguardato l’insegnante di Denver che, attraverso Twitter, pubblicava commenti focosi sui suoi studenti.
Quindi il giusto equilibrio, fra il proibizionismo e la completa libertà d’utilizzo, deve essere la chiave per una gestione “consapevole” di questo strumento. Crediamo che la stesura di una piccola “guida di comportamento” sarebbe ed è la soluzione più consona per regolamentare l’uso da parte di tutti i propri collaboratori.
Sostituire il proibizionismo con un’apertura aziendale verso il dipendente, potrebbe essere un fattore interessante che farà da leva per richiedere ancora maggiori sforzi al collaboratore in momenti di alto stress e alto tasso di lavoro.
Redigere un Vademecum con argomenti “Non pubblicabili” andrebbe a ricordare ai collaboratori quali siano i contenuti pubblicabili e quali no e, gli stessi, essendo a conoscenza che l’azienda monitorerà i social network li inibirà “moralmente” nel loro utilizzo.