Nella storia della nostra valle, vi è anche un periodo dove le miniere erano le protagoniste.
L’estrazione nelle miniere e la lavorazione del ferro nella valle di Fraele (Valdidentro – Alta Valtellina) ha origini remote e fu per diversi secoli una delle principali risorse economiche del bormiese. Un’attività che si diffuse in molte vallate valtellinesi; le notizie più antiche risalgono alla fine del XIII secolo (1272): in quell’anno, infatti, il forno di Semogo (Valdidentro – Alta Valtellina) veniva affittato ad una società di cui si ricordano un Alberti, un Besta e un Marioli per l’affitto annuo di “vent’otto imperiali”. Il ferro doveva provenire, fin da allora, dalle ricche e floride miniere della valle di Fraele; notizie del XIV secolo vedono attivo il forno denominato di “Cazzabella”, presso la località S.Giacomo di Fraele a quota 1930m s.l.m., noto poi come forno vecchio che nel 1422 doveva appartenere a Cristoforo Alberti. Il forno era poco distante dalle miniere della valle Bruna, così da ridurre i costi di trasporto del pesante materiale grezzo ed aveva intorno fitti boschi di pino nano, il cosiddetto “muff”, da cui di estraeva il carbone per la fusione. Ma non solamente dalla valle di Fraele proveniva il ferro se il “Quaternus Eventariorum” accenna ad una fornitura di “trentasei libbre” ottenuta dagli Iuvalta di Bellaggio, da parte del Comune di Bormio. Un forno e una fucina, dotati di ogni attrezzatura per la lavorazione del metallo, erano collocati in quel di Livigno come risulta da un atto con cui il 6 settembre 1332 sei uomini di Bormio li presero in affitto per venticinque anni. Nel 1377 le fucine erano ben tredici, di cui sei nella sola Semogo; altre ancora ne sorsero come per esempio quelle di Morignone . Quanto ai forni di Premadio, dovevano essere posti sin da quei tempi poco sotto la chiesa parrocchiale, dove venivano condotti la ghisa ed il ferro prodotti nelle miniere della valle di Fraele. Il ferro bormiese si vendeva in “broza”; nella Valtellina si commerciava invece in “quadrones” oppure in “regiones”. Brozi e reggioni si riferivano alla forma con cui il minerale veniva “confezionato” nelle miniere. Un “brozo” pesava all’incirca sei “centenaria” di libre e veniva pagato nel 1349 “dieci soldi” per centenario. Lo sfruttamento delle miniere venne poi regolamentato dagli Statuti di Bormio. Localmente con il ferro si producevano cerchioni per 75 carrozze, per carri agricoli, per le botti del vino e del latte, falci, secchi, zappe ed altri attrezzi – utensili. Fiorì, così, un pregevole artigianato, testimoniato da inferriate, balconi, catenacci, serrature, attualmente ancora rilevabili nelle più antiche abitazioni di Bormio. Parte degli utensili ricavati dal materiale ferroso veniva scambiata per l’acquisto del sale e altre necessità occorrenti ai lunghi inverni nelle baite. Fino al 1612 lavoravano le miniere di ferro della valle di Fraele certi signori Muti di origine bergamasca; a detta del Bardea il loro forno era collocato non lontano dal ponticello che conduceva alla chiesa di S. Giacomo e all’osteria di valle di Fraele, nei cui pressi costruirono più tardi il loro forno gli Sprecher.