Per millenni i mieli sono stati l’unico dolcificante nella dieta umana, e non solo!
I mieli, infatti, sono anche componenti di alcuni farmaci, oltre che elemento costitutivo di base di diverse bevande alcoliche. Un sapiente uso, questo, che purtroppo si è incrinato con l’avvento dello zucchero di canna e di barbabietola, ma che è stato radicalmente dimenticato nel giro di pochi anni con la fine della Seconda Guerra Mondiale (1945) ed un uso piuttosto ingente del cosiddetto “zucchero bianco”. La rapidissima crescita, a partire dall’ultimo dopoguerra, verso il benessere e la semplificazione delle operazioni in generale si è trasferita anche in cucina per cui buona parte dei piatti tradizionali e degli ingredienti naturali non standardizzati sembrano non trovare più una loro ben precisa collocazione. E’ solo in tempi più recenti che si è maturata la consapevolezza dell’importanza nell’arte culinaria di certe tracce della tradizione che rivelano creatività ed originalità. Una cucina che si basa solo su pochi prodotti locali come farine di cereali (segale, grano saraceno, granoturco frumento) e di castagne; e poi burro, noci, le stesse castagne, uova, uva locale appassita su appositi graticci, grappa e mieli. La cucina valtellinese del passato era frugale e veniva realizzata con i pochi e semplici ingredienti dei quali ognuno disponeva. Si arricchiva solamente nelle grandi occasioni quando, sfruttando il forno già caldo per la cottura del pane, si preparava qualche dolce che aveva per base lo stesso impasto. Infatti, dal pane di segale si ricavavano il “panùn” (diventato poi, con l’aggiunta di fichi lasciati a seccare, “panettone valtellinese”) e le squisite focacce. Tra queste ricordiamo il famoso “cicc”, una focaccia che serviva in passato per saggiare la temperatura del forno, a base di pasta di segale ricoperta di burro e mieli di tiglio della Valtellina… Mieli veniva usati nel già ricordato “cicc” che in Valmalenco veniva ed è tuttora chiamato “cicc balòs”, nato dall’inventiva contadina e cotto sul focolare nella piccola tazza in pietra ollare locale con latte, uvette, noci e farina gialla. I mieli, del resto, si sono sempre prestati a tutte le esigenze della cucina per la capacità di “sposarsi” a qualsiasi altro alimento senza mai perdere il gusto originario. E così vari mieli delle montagne di Valtellina si possono assaporare nella tipica “cupéta”, dolce al miele e noci racchiuso tra due cialde; anche il pane di segale a fette, oppure più attualmente i crostini di segale, sono eccellenti se accompagnati con un velo di burro e con i mieli valtellinesi. Non dimentichiamoci perciò, dei mieli della Valtellina, come i “pregiati”: acacia (robinia), tiglio, “millefiori” di montagna e castagno; oppure gli “eccellenza” come il “millefiori” di alta montagna ed il rododendro; oppure, ancora, i “rari e particolari” come quello di erica, di tarassaco, di ciliegio, di lampone e di rovo (mora).
Una passione immensa quella degli apicoltori nostrani per i mieli, pari a quella che mettiamo noi nel nostro lavoro di progettisti e arredatori (www.concretasrl.com) .