L’acqua: il bene più prezioso
L’acqua è un bene naturale prezioso, di tutti, una risorsa pubblica, ora minacciata di perdere la sua natura collettiva. L’acqua irriga i campi, aziona le turbine, disseta e lava chiunque. Quello che conta è come il bene viene utilizzato. Bisogna distinguere il bene dalla gestione del servizio pubblico o privato.
Ormai l’acqua si mercifica, si privatizza, si vende. Il mercato si sta appropriando della risorsa vitale dell’umanità, strategica per la vita del nostro pianeta. “Dar da bere agli assetati” affermano le opere di misericordia. L’acqua è bene di tutti dalla Preistoria. Già due millenni or sono gli antichi romani sentivano il bisogno, come oggi noi, di ritemprarsi, di rilassarsi con l’acqua termale, curando al tempo stesso corpo e mente.
Esistevano luoghi pubblici appositi dove chiunque poteva apprezzare il piacere fisico e spirituale di ritemprarsi dell’acqua. Racconta Lucio Anneo Seneca, detto il Retore (50 a.C. 40 d.C.) scrittore latino di Cordoba e filosofo, che i romani facevano il bagno mediamente una sola volta alla settimana, ma con il tempo acquisirono dai Greci la serenità dei bagni caldi e freddi, della sauna, del bagno turco. Tutti senza distinzione di classe. I più benestanti, “i maiores”, erano dotati di terme private in casa propria, gli altri si recavano nei diffusi bagni pubblici, raffinati o meno, più costosi o da pochi soldi. In Grecia, sin dal sec. V a.C., esistevano le celebri terme di Olimpia e di Delo.
Nella nostra penisola, a Pompei le prime terme sono di età sannitica (II sec. a.C.), costituite di vari ambienti fissi: “apoditerium” o spogliatoio, “frigidarium” con acqua fredda, “tepidarium” e “calidarium” con acqua calda. Molti altri ambienti erano contigui: servizi, massaggi, palestre, esedre, giardini, perfino biblioteche in alcuni, costituendo autentici circoli di ritrovo collettivo. Celebri a Roma le acque termali di Agrippa (25 a.C.) collocate nel Campo Marzio e più volte ricostruite fino all’età di Settimio Severo Lucio. Gli imperatori Tito e Domiziano edificarono terme sul Colle Oppio, note soprattutto da disegni del Palladio. Le meglio conservate, giunte a noi, sono quelle di Caracalla del 216 a.C., grandiose ed estese su una superficie di circa 84 mila mq., capaci di contenere fino a 2600 bagnanti.
Imponenti furono anche le terme di Diocleziano, sul Viminale, dove nel “frigidarium”, oltre un millennio dopo, Michelangelo Buonarroti edificò la Basilica di Santa Maria degli Angeli, favorendone la conservazione. Notevoli nei territori dell’Impero le terme di Leptis Magna, antica città fenicia della Libia, il cui impianto di acqua termale è stato riportato alla luce dagli scavi italiani nel 1921.
All’epoca le terme rappresentarono un benessere per tutti. A meno che non si avesse la sventura di abitare sopra una di esse, come accadde a Seneca che, disperato dal frastuono che proveniva dall’acqua, si augurò: “vorrei essere sordo”. Anche nella “Mediolanum”, la Milano Imperiale intorno al IV sec. a.C., nella città dei Galli Insubri, tra i fiumi Seveso e Lambro meridionale, in un territorio ricco di acqua irrigua, sorsero le Terme Erculee.
I suoi resti archeologici sono ignorati dai milanesi e noti solo a pochi attenti turisti. Il vasto edificio di acqua termale era stato edificato dall’imperatore Massimiano Marco Aurelio (286- 305 d.C.) fuori della città repubblicana. Il porticato delle Terme celebrate dal poeta Ausonio (circa 310-393 d.C.) era molto ampio e si trovava dove ora, a due passi dal Duomo, sorge la chiesa di S. Vito al Pasquirolo (tratti di muri nel giardino). Il “frigidarium” esisteva dove ora si erge la chiesa. Qui nel 1827 è stata scoperta una statua di Ercole. In un sotterraneo si conservano tratti di pavimento a mosaico di una sala e resti di un ipocausto e parti in marmo.
Poco più in là nel portico di corso Vittorio Emanuele, accanto alle Mode Zara (già cinema Astra), addossato al muro c’è il busto del “ Sciur Carera”. La folla passa e non se ne accorge, equivalente milanese del Pasquino di Roma. Detto anche “L’om de preja”, di pietra, ricorda un senatore romano ignoto magnificato con la dicitura: “Carere debet omni Vitìo qui in alterum dicere paratus est” così tradotta: “chi vuol accusare gli altri di disonestà deve esser prima di tutto onesto lui stesso”. “Carere” ossia “mancare” fu scambiato erroneamente per il cognome del senatore. Qui i milanesi appendevano biglietti con le loro proteste.
La statua millenaria continua ad ammonirci, ma ai nostri giorni è ignorata da tutti. I tempi sono cambiati. A Milano sono celebri anche le chiare e fresche acque solforose, dal gusto sulfureo e puzzolente di uova marce, tanto che il popolo le definisce: l’acqua marcia. Esistono ancora tre tipiche fontane ottagonali in pietra, una è in viale Piceno (civ.17) ormai asciutta, causa l’abbassamento dell’asse assediata dalle auto e dal traffico. Un’altra, con una statua di S. Francesco, è in piazza S. Angelo davanti all’omonima chiesa. La terza fonte di acqua marcia è al Parco Sempione, nei pressi dell’Arena napoleonica, unica ancora attiva dove qualcuno ancora beve e riempie una bottiglia da portare a casa. “Sorsate alle uova marce, toccasana salutare” dicevano. Una vena d’acqua proveniente da una remota falda sotterranea. Nell’intera storia di Roma possiamo riconoscere la sua grandezza incontestabile nel Diritto Romano, nella legislazione, nella visione universalistica civile.
Nell’antica Rezia, in Valtellina erano note e valorizzate le acque ferruginose e calde dei Bagni di Masino a quota 1170, che Matteo Bandello, nella prima metà del 1500 decantava “… a goder quei freschi di Caspano e di Bagni di Masino … a chi prende quei bagni …”. E aggiunge il governatore grigione Guber nel primo Seicento: “… l’acqua scaturisce da un cavo dirupo: è limpida, chiara, piacevole come bevanda e il suo calor naturale è giustamente temperato: questi bagni salutari sono per la vallata un nobile e degno tesoro”.
Da tempi remoti sono celebri le fonti termali di Bormio, sgorganti dalla viva roccia, e il suo termalismo. Sempre Plinio ne fa menzione nel I sec. d.C. tanto da denominarla “fonte pliniana” citata con esattezza nel VI sec. da Cassiodoro, fiduciario del Re ostrogoto Teodorico. Anche gli “Statuti Civili” di Bormio citano i Bagni Vecchi a quota m.1435. Nel 1834, 1 km. più a valle, edificarono i Bagni Nuovi.
In Valtellina esistono alcune sorgenti minori di una vena d’acqua acidula ferruginosa che la percorre ed emerge in Val Malenco con la inutilizzata “Acqua di Sales”, ad Albosaggia e altrove. La notissima sorgente di Santa Caterina in Valfurva, già nota nel ‘600, citata nei “verbali delle adunanze comunali”, che venne valorizzata a metà dell‘800, fu oggetto di studi scientifici e fu dotata di un padiglione di utilizzo.
Ora è estinta per l’incuria e per la cementificazione dei luoghi.